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Fano, Manoni indica la rotta: “Volevo rimettermi in gioco. Alla Samb è stato difficile…”

FANO – È uno abituato a raccogliere le sfide. Anche quelle più difficili. Manolo Manoni è ripartito da Fano. Ereditando una situazione non facile. Ed è subito partito con il botto, rifilando un sonoro 5-1 al Chieti. Manoni è stato chiamato per cercare di portare il Fano all’agognata salvezza, dopo le dimissioni di Giovanni Cornacchini. E dopo le novità che hanno riguardato l’assetto societario. Lui ha dimostrato lo scorso anno il suo valore, conducendo la Sambenedettese alla salvezza nonostante una situazione societaria a dir poco disastrosa. E che poi ha portato la società rossoblù in mano a Roberto Renzi alla mancata iscrizione. Prima ancora il tecnico jesino ha vissuto un’esperienza importante a Castelfidardo sempre in serie D. Quest’anno solo una breve parentesi alla guida della Pistoiese, con Gianni Rosati come ds. Da calciatore ha vestito anche la prestigiosa maglia dell’Ascoli.

Hai accettato la sfida del Fano. Qual è la tua ricetta per raggiungere la salvezza?

“Umiltà, sacrificio e lavoro. E tanta passione. Mi ha spinto la voglia di mettermi in gioco in una piazza importante a prescindere dalle situazioni che ha accusato. C’è una nuova proprietà che ha voglia ed entusiasmo. Da quello che ho percepito è una società che ha voglia di fare calcio”.

Nella conferenza stampa di presentazione hai detto: “Ho un debito con questa piazza”. Qui infatti sei approdato nel ‘98-‘99 da calciatore…

“Sono stato a Fano 25 anni fa, nel ‘98-‘99. E purtroppo quell’anno calcistico finì con la retrocessione ai play-out in C2. Le colpe non furono solo mie, ma di tutti. In città ho tanti bei ricordi, oltre a quello brutto della retrocessione. Anche questo mi ha spinto ad accettare perché mi piacerebbe ripagare”.

Domenica scorsa è arrivata la prima sconfitta della tua gestione all’Aquila…

“L’Aquila è una squadra forte. Il secondo tempo abbiamo combattuto alla pari, per noi non era facile visti gli impegni ravvicinati. Mi lascia ben sperare per il proseguo. È una squadra soprattutto di valori umani, ho trovato uno spogliatoio sano. Ingredienti che alla lunga pagano”.

Lo scorso anno alla Samb nonostante la situazione societaria disastrosa sei riuscito a raggiungere un risultato importante. Come sei riuscito a trovare l’equilibrio con tutto quello che stava accadendo intorno?

“Delle volte ho detto ai ragazzi che nei momenti di difficoltà uno si costruisce degli anticorpi. Dentro ti viene fuori qualcosa che ti fa superare determinate situazioni. È un lavoro che ho fatto insieme allo staff. Ci siamo compattati e siamo andati dritti verso l’obiettivo. Abbiamo lavorato su queste cose insieme ai ragazzi. È stato difficile andare anche contro i tifosi che non vogliono che scendi in campo. Da parte mia San Benedetto è la mia seconda casa. Abito qui da vent’anni. Ho cercato di dare la riconoscenza verso questa città che amo. Nonostante tanti non hanno apprezzato, ma salvarsi sul campo per me era troppo importante”.

Quest’anno eri stato chiamato da Gianni Rosati a Pistoia. Un’avventura durata solo due partite. Cosa non è andato?

“Sì, quando sono stato chiamato c’era il direttore. Giocammo il sabato e vincemmo. Alla domenica il direttore non c’era più per la discussione con la società. Io fui mandato via il mercoledì. Ho fatto una vittoria e una sconfitta. Non era una decisione tecnica. Io ero un uomo legato a Rosati, che ringrazio per la fiducia. Questa è una società assente, che aveva delle difficoltà. Poi hanno risolto tutti i contratti con i calciatori. Non ho avuto neanche la possibilità di lavorare. Non mi sento nemmeno di esserci andato. Anche se era una possibilità per fare bene per me.”

A Castelfidardo un’esperienza importante. Hai dimostrato senza dubbio il tuo valore, facendo il massimo con quella squadra in D prima dell’esonero…

“Io sono stato fino a gennaio. Costruimmo una squadra con valori importanti. Facemmo bene fino a quando la società decise di far entrare dei personaggi che cambiarono sei giocatori e l’allenatore. Quando andai via eravamo a metà classifica, facemmo un lavoro importante. A inizio anno era una squadra data per spacciata”.

Tornando al Manoni calciatore, cosa vuol dire giocare in una piazza come Ascoli?

“Io arrivai ad Ascoli a 13 anni. Feci tutta la trafila nel settore giovanile, fino ad esordire in serie B. È una piazza passionale che vive di calcio. Piazza storica. Soprattutto in quegli anni quando il presidente Rozzi portò in giro il suo nome. Per me è stato importante vedere quella piazza che faceva serie A e B. Io lì feci la C1. E ho vissuto questa piazza calda ed esigente”.

La tua esperienza in bianconero coincise con la scomparsa del Presidentissimo Costantino Rozzi nel ‘94…

“L’Ascoli disputó la partita contro il Pescara la domenica della sua morte. Quell’anno retrocesse dalla B alla C, ma con una squadra forte. C’erano Bierhoff, Incocciati…Vincemmo 3-0 contro il Pescara. Io non giocai quella partita, ma ricordo che giocai a Venezia. Ero un aggregato all’epoca. Ero un ragazzino, assorbivo tutto grazie alla mia curiosità. Io feci il picchetto al funerale di Rozzi”.

Foto: Alma Juventus Fano

Daniele Rossi

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