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Antonio Oliveri e il Pescara di Scibilia: “Svendemmo la società, cosa che non rifarei. Oggi il Pescara è difficilmente vendibile”

MOSCIANO SANT’ANGELO – Incrociare il suo sguardo è come fare un salto di trent’anni e più. Sul filo dei ricordi. E delle tante emozioni contrastanti, vissute sulla propria pelle. Antonio Oliveri in cuor suo quelle annate le rivive con nostalgia. Lui che è stato nel Pescara per ben quattordici anni come vicepresidente. Al fianco di Pietro Scibilia. Dal 1990, quando entrò nel Pescara in un ruolo così importante a soli 25 anni. Del resto chi meglio di lui poteva rappresentare un uomo di fiducia per il Commendatore. Un legame familiare che seppe trasformarsi anche in legame professionale. Oliveri rappresentava oltre che il suo genero, soprattutto il suo più stretto confidente. Perché di momenti critici in tutti i diciassette anni della presidenza Scibilia ce ne sono stati diversi. Così come le gioie. Prima fra tutte la promozione in A del ‘92. La seconda firmata Giovanni Galeone. Ma anche quella dalla C alla B con Ivo Iaconi in panchina nel 2003. E anche tanti grandi giocatori transitati a Pescara, grazie all’opera del ds Andrea Iaconi. Poi la decisione di Scibilia di lasciare nel 2004. Regalando letteralmente la società a Dante Paterna. Il calcio, si sa, ti porta a vivere delle emozioni che spesso ti consumano. E che ti spingono ad un certo punto a pronunciare la parola fine. Ma Antonio Oliveri negli anni scorsi è stato spesso riaccostato al Pescara. Forse è un po’ la speranza di una piazza che in tutti questi anni ha rivalutato la sua figura e quella di Pietro Scibilia. Per quello che hanno saputo regalare ai tifosi. E per il loro modo di essere. Persone concrete, abituate alla trasparenza. A cui non sono mai serviti i facili proclami. E che non hanno avuto mai bisogno di andare sopra le righe. Uomini d’altri tempi, si direbbe.

Lei è stato per quattordici anni vicepresidente del Pescara. Che ricordo ha di quegli anni?

“Ricordi di anni belli, con tante soddisfazioni. Tanti sacrifici, ma anche tante soddisfazioni”.

È stato al fianco del presidente Scibilia. E lo ha conosciuto meglio di tutti. Qual era la sua qualità più grande?

“A prescindere dal fatto che era un uomo intelligente e capace. Ma era generosissimo. Nel mondo del calcio essere generosi come lo è stato lui era un piccolo difetto (sorride, ndr). La sua voglia di fare e il suo attaccamento è stato dovuto alla sua generosità, dalla voglia di fare qualcosa per Pescara”.

Dopo le contestazioni che hanno segnato la vostra era, con il passare degli anni la sua figura e quella del Commendatore sono state rivalutate dai tifosi biancazzurri. Come si spiega tutto questo?

“Me lo spiego con il fatto che abbiamo seminato bene. In quel momento non eravamo compresi. Con il passare del tempo e le vicissitudini, la nostra onestà è stata rivalutata. La gente non è stupida e sa fare i paragoni, vedendo le cose come sono state fatte.”

La promozione in A nel ‘92, la seconda di Galeone, fu il vostro successo più grande…

“La seconda promozione con Galeone è stato il successo più grande. Quella è stata una promozione secondo me entusiasmante perché non era prevista. Non era stato pronosticato che quella squadra potesse vincere il campionato. Ed è stata ancora maggiore la soddisfazione. Poi abbiamo vinto un campionato giocando un grande calcio”.

Nella vostra gestione a Pescara avete contribuito a creare il mito di Giovanni Galeone…

“Il mito se lo è creato da solo Galeone, per le sue capacità. Noi abbiamo avuto la fortuna di averlo come allenatore. Lui ha fatto vedere bel calcio a Pescara. All’inizio c’è stato un po’ di conflitto con mio suocero. Ma poi il rispetto era reciproco”.

Anche il ritorno in B con Ivo Iaconi in panchina è stato memorabile…

“Sì, lì ad onor del vero dovevamo vincere il campionato l’anno prima. Ma ci fu sottratto per ingiustizie arbitrali. Ci fu quell’episodio del gol in netto fuorigioco a Catania nei playoff. L’anno dopo vincemmo il campionato con la rabbia dell’anno prima. Giocavamo un grande calcio ed eravamo convinti di vincere già prima che cominciassero le partite. Quella per la serie C era una signora squadra”.

Nel 2004 la decisione di lasciare. Come mai si arrivó a questo addio?

“Si arrivó a questo addio perché c’era tanta delusione per le contestazioni che domenica dopo domenica arrivavano. Poi ci fu una situazione di contributi Iva non pagati, plusvalenze e quant’altro che condizionavano il mondo del calcio. Così abbiamo deciso di lasciare per non mettere a rischio le nostre aziende. In quegli anni il mondo del calcio era molto avvelenato nei conti. Basti poi ricordare che la proprietà che subentró venne ripescata dopo la retrocessione della squadra grazie ai bilanci che abbiamo lasciato noi”.

Negli ultimi anni la sua figura è stata accostata spesso al Pescara. C’è stata seriamente la sua volontà di ritornare in società?

“Io ho sempre dichiarato che nel momento in cui mi dovesse tornare la voglia lo decido io e non lo faccio manifestare dagli altri. Non mi nascondo dietro ad un dito. In questo momento non c’è la volontà, perché sono impegnato in tante cose a livello lavorativo. Non posso dedicarmi al calcio, c’è bisogno di tempo e passione”.

A distanza di tutti questi anni, qual è l’errore che non rifarebbe?

“Con il senno di poi quello di aver venduto. Anzi, svenduto”.

Più di tutti, il vostro uomo di fiducia è stato Andrea Iaconi…

“Andrea è stato un uomo azienda. Con noi è stato tanti anni. Ha fatto calcio insieme a noi, con una sintonia che andava al di là dell’aspetto sportivo. Molti gli davano la responsabilità perché lui si immedesimava in quella situazione. Per portare avanti una società sportiva bisogna fare quello che ha fatto Andrea”.

A quale giocatore della sua gestione è rimasto particolarmente legato?

“Guardi, più che legato ho sempre avuto giocatori a cui ci siamo affezionati molto. Il valore umano primeggiava su quello calcistico. Poi ci sono calciatori con cui ho avuto più feeling. Con Max Allegri ho avuto l’opportunità di dialogare maggiormente. Poi l’ho rincontrato in una veste diversa, da allenatore. Tutti quelli che sono stati da noi hanno lasciato un ricordo ottimo”.

Secondo lei il Pescara attuale è realmente vicino alla cessione?

“Di questo non posso sapere, perché non sono nel giro della Pescara calcio. Se valuto le operazioni di acquisizione di una società come il Pescara in C, è poco vendibile. Una società come il Pescara pretende. E per chi deve venire, Pescara pretende di fare il salto di categoria. Chi viene a Pescara deve mettere sul piatto l’investimento di vincere il campionato”.

Daniele Rossi

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