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Il tecnico Francesco Giorgini si racconta: “A Giulianova tanta pressione nei miei anni. Pescara? All’inizio non volevo andare…”

GIULIANOVA – Rappresenta molto di più di un semplice allenatore. È un pezzo di storia del Giulianova. Francesco Giorgini è una vera e propria istituzione per questa città. Ma un po’ per tutto il calcio abruzzese. Dieci stagioni complessivamente per lui sulla panchina dei giallorossi. La squadra della sua città. Passando soprattutto per gli anni migliori del Giulianova in serie C1. Nel suo palmares una promozione in C1 nel ‘95-‘96. Oltre ad un altro campionato vinto in serie D nel ‘93-‘94. E una Coppa Italia di serie C vinta a Brindisi nella stagione 2002-2003. Giorgini a Giulianova ha forgiato tanti giocatori del calibro di Califano, Federico e Cristiano Del Grosso, Carrozzieri, Visi, Palladini, Croce, Antenucci. Oltre a Tiziano De Patre e Federico Giampaolo. Solo per citarne alcuni. Quando il Fadini era un fortino inespugnabile. E il calore del tifo si faceva sentire. A livello tattico ha prediletto sempre la difesa a quattro. Puntando in particolare sul modulo 4-2-3-1. Nel corso della sua carriera ha allenato anche in B ad Ancona e a Pescara. Anche se quella con i biancazzurri fu un’esperienza molto breve. Poi tanta serie C con Andria, Frosinone, Ternana tra le tante squadre della sua lunga carriera. Ma il Giulianova per lui ha sempre rappresentato qualcosa di più. E alle sue stagioni da tecnico, vanno aggiunte anche le oltre 400 presenze collezionate da giocatore in giallorosso. Che gli sono valse il record che detiene tutt’ora. Un amore senza fine quello tra lui e la squadra della sua città. Una carriera trascorsa sempre a grandi livelli. E vissuta sempre all’insegna di una straordinaria umiltà: “Quando allenavo in B ad Ancona si stupivano che salutavo sempre tutti. Io gli rispondevo di non essere un primario, ma una persona qualunque. E faccio la stessa cosa quando passeggio sul lungomare di Giulianova.”

Cosa vuol dire per un giuliese allenare il Giulianova?

“Sicuramente è una bella soddisfazione, però è anche una grande responsabilità. Io sono stato fortunato perché le cose sono andate bene. La pressione era tanta. Anche quando la sera esci con gli amici si parla di calcio. Io poi sono stato fortunato perché ho vinto diversi campionati. Inoltre ho indossato anche la maglia del Giulianova da calciatore. E detengo il record con più di 400 presenze”.

Nessuno è profeta in patria. Ma lei è riuscito a farsi amare dalla sua città…

“Un po’ dipende anche dal carattere. Nel calcio sono importanti i risultati. Io ho avuto la fortuna di fare 2-3 anni il secondo a Volpi e Tribuiani. Poi ho fatto il settore giovanile. Però devo dire che in quel periodo Giulianova aveva uno dei settori giovanili più forti. Io ho avuto una società sempre ottima. Il lavoro è stato più facile”.

Nel 95’-‘96 arrivò la promozione in C1. E l’anno successivo un ottimo quinto posto da neopromossi che valse i playoff. Sono passati quasi trent’anni, quel Giulianova fece sognare i tifosi giallorossi…

“Noi quell’anno ad Ancona sbagliammo un calcio di rigore. Se avessimo vinto quella partita andavamo in serie B. Anche perché stavamo bene. L’Ancona era superiore come uomini. Oltre al rigore sbagliato, ad Ancona subimmo l’espulsione di Pagliaccetti. E in casa rimanemmo in dieci per l’espulsione di Grilli. Riuscimmo a pareggiare con Manari. In quell’occasione squalificarono il presidente dell’Ancona e fermarono l’arbitro Bertini di Arezzo per cinque mesi. Siamo stati danneggiati dall’arbitro”.

Storia più recente, il biennio 2004-2006. All’epoca aveva una squadra molto competitiva con Califano, Cristiano e Federico Del Grosso, Palladini, Visi, Marco Croce…

“Quella squadra lì era forte. Ma io la presi negli ultimi due mesi. Ci fu la salvezza a Sora. Io quell’anno non volevo allenare. Ci furono 2-3 esoneri di allenatori a Giulianova. C’era tanta contestazione. Quartiglia mi chiamó a quattro domeniche dalla fine. Vennero anche i tifosi a casa per convincermi. Andai a fare allenamento e dalle contestazioni la situazione cambiò. Poi vincemmo con il Pesaro una partita decisiva. Facemmo i playout con il Sora, che era in vantaggio per scontri diretti. Feci arrivare il preparatore atletico Pettinelli e mettemmo a posto la squadra. Capuano faceva il 3-5-2. Io preparai la partita sul 3-4-3. Califano quel giorno fece una prestazione straordinaria. Ricordo che ci furono anche incidenti tra le tifoserie. Nel primo tempo vincevamo 3-0 e inizió la contestazione dei tifosi del Sora verso i loro giocatori. E alla fine noi ci salvammo”.

Una grande occasione per fare il salto di qualità per lei arriva nel ‘97 con la chiamata dell’Ancona. Prima esperienza in B che terminó con un esonero…

“Prima esperienza in B da allenatore. Perché ho fatto la serie B ad Arezzo da calciatore. Ad Ancona andai dopo i playoff. Io non volevo andare, ma Quartiglia mi disse vai. Noi eravamo a metà classifica. Nel bar fuori lo stadio c’è ancora la mia foto. Giocavamo bene ed avevamo giocatori del calibro di Flachi e Bresciani. Io in quel periodo volevo Quaranta, un mediano da serie C tanto per intenderci. Il direttore sportivo invece mi prese due giocatori dalla Lucchese. Io mi arrabbiai e me ne andai. Dopo presero Scoglio. Una sera venne Sogliano qui a Giulianova, insieme all’avvocato Aconzi di Teramo. Lui all’epoca faceva il direttore. E mi disse di tornare ad Ancona. Io ritornai e nelle ultime otto partite concludemmo senza sconfitte. Alla fine retrocedemmo al termine della stagione. Ma se non me ne fossi andato sarebbe stato sicuramente diverso”.

Nel ‘98 invece lei è stato alla guida del Pescara. Un’esperienza che duró solo due partite. Cosa successe?

“Quando ero ad Ancona, a dicembre mi chiamó Andrea Iaconi (all’epoca ds del Pescara, ndr). E ci vedemmo in spiaggia a Giulianova. Mi disse che se non avesse accettato Galeone mi avrebbero chiamato. Io gli dissi subito che era un matrimonio che non si sarebbe dovuto fare. Mi sentivo di non andare. Mi chiamó anche Scibillia. Andai da lui a Mosciano e all’inizio non trovai l’accordo economico. Ma alla fine accettai. E fui accolto bene a Pescara, già dal ritiro di Caramanico. Ma non presero nessun giocatore che io volevo. Io sono stato condannato dai risultati, ma con me non si è avuta pazienza. Io sono stato sfortunato ancora prima ad Ancona. Perché se non fosse andato in A il Perugia io sarei andato lì con Gaucci. Ma poi loro furono costretti a confermare Castagner. Io ci rimasi male per come andarono le cose a Pescara. Poi nella partita persa con il Napoli giocammo anche bene. In realtà io mi aspettavo quell’esonero. Che poi io sono stato esonerato solo a Pescara e a Frosinone. Ad Ancona me ne andai io. Stessa cosa a Pontedera. Io ero abituato al calore del pubblico, a Pontedera c’erano pochissimi spettatori”.

A livello tattico, le sue squadre spesso le ha schierate 4-2-3-1. Un modulo che oggi diversi tecnici adottano. In questo senso lei è stato un grande anticipatore, perché giocava così già negli anni Novanta…

“Io ho fatto il corso di prima categoria nel ‘97. Insieme a me c’era Ancelotti. Ho fatto la tesi sul 4-2-3-1. Io ho giocato sempre con il fantasista. A Giulianova giocavo con punta e mezza punta. Ma in quel periodo il pressing non c’era. Mi è sempre piaciuto quel modulo lì. A Pescara avevo Gelsi e Massimiliano Allegri che potevano giocare dietro la punta. All’Ancona avevo Flachi. A Terni ho avuto Rigoni. Giocavo sempre con esterni molto rapidi. Quando andai a Gubbio facevo il 4-3-3, come Guidolin e Zaccheroni. Che tra l’altro facevano il mio stesso girone. Alla fine occupammo le prime tre posizioni in classifica con le nostre squadre. Successivamente passai al 4-2-3-1. E quando dovevo conservare il risultato, toglievo una punta”.

Qual è stato il calciatore più forte che ha allenato in carriera?

“A Giulianova a livello tecnico ho avuto Manari. Ma anche Federico Giampaolo, Tiziano De Patre. Come pure Flachi e Rigoni. Bresciani ad Ancona. Senza dimenticare Gianni Califano e Briaschi, che poi è stato al Napoli e al Torino. Come difensore ho avuto Sartor. Ho avuto la fortuna di allenare tanti grandi giocatori”.

Che consiglio si sente di dare ad Angelo Pagliaccetti, che adesso è sulla panchina del Giulianova dopo essere stato suo collaboratore?

“C’è poco da consigliare. Quest’anno la squadra è più forte di quella dello scorso anno. Nei playoff nazionali non sarà una passeggiata. Poi i playoff sono sempre un terno a lotto. Ci devi arrivare fisicamente e mentalmente preparato. Io quest’anno vedo che la squadra ha più scelta nelle sostituzioni per l’organico che ha. E speriamo soprattutto di uscire da questa categoria”.

Qual è la sua ricetta da dare al Giulianova, affinché riesca a tornare ai fasti del passato?

“Io conosco la società. Questa è un’ottima società. Dove adesso è subentrato anche Ferdinando Ruffini. Le ambizioni ci sono, ma è sempre il campo che parla. Posso dire che questa società ha riportato l’entusiasmo a Giulianova”.

Tra gli allenatori emergenti, chi vede meglio?

“Ho visto Padova-Mantova. Per me Possanzini è un ottimo allenatore. Il Mantova mi è piaciuto molto. Non ho visto giocare nessuna squadra in C come il Mantova. Somiglia un po’ a De Zerbi. Io sono stato a Brighton, trascorrendo quattro giorni con De Zerbi. Il preparatore Marco Marcattili è stato con me a Giulianova e a Terni. Ho visto anche Brighton-Liverpool. Marcattili se l’è meritata questa chance. È stato sempre umile. A Terni avevo trenta giocatori. E ogni volta doveva fare differenziato, senza avere mai cinque minuti di libertà”.

Daniele Rossi

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