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Gianni Califano, una carriera nel segno del gol: “Giulianova amore a prima vista, Giorgini è stato un padre per me. A Chieti Quagliarella era un talento straordinario…”

GIULIANOVA – Il gol nel dna. 163 in carriera per gli amanti dei numeri. Gianni Califano lo si potrebbe definire come un giuliese di adozione. Complessivamente quattro stagioni in giallorosso. E lui ovviamente ha scelto di vivere proprio a Giulianova. Dove è sempre stato un idolo della tifoseria. Vivendo da assoluto protagonista gli anni più belli in serie C1 con Francesco Giorgini in panchina. Oggi ritroviamo Califano nelle vesti di direttore sportivo, con esperieze a Livorno, Fano e Prato. Quest’anno aveva iniziato alla Pro Sesto con Massimo Paci in panchina. Ma poi l’avventura si è chiusa anzitempo. Lui non dimentica di certo il glorioso passato da giocatore. Compreso l’anno di Chieti, dove faceva coppia con un certo Fabio Quagliarella. E misero a segno 29 gol in due nella stagione 2003-2004.

Cosa ti ha spinto ad intraprendere la carriera di direttore sportivo?

“La passione per il calcio. Poi ha influito molto il rapporto di affetto con Sandro Quartiglia. Lui mi coinvolgeva spesso. All’epoca anche Angelozzi mi ha fatto scattare quella molla che mi ha fatto lasciare il campo. Anche perché la metodologia degli allenamenti non era il mio forte. Così ho partecipato al corso a Coverciano. Ed ho fatto anche il corso di allenatore. Lì ho avuto la fortuna di conoscere Paolo Pani, il direttore di tutti i corsi”.

Sei stato quattro stagioni a Giulianova. Diventando un idolo per i tifosi giallorossi. E inevitabilmente hai scelto di vivere in questa città. Una piazza a cui hai dato davvero tanto…

“Mia moglie è di Giulianova. Sono stato quattro anni. È il posto dove ho fatto più gol, 52 reti. Un terzo dei 163 gol della mia carriera li ho fatti a Giulianova. C’è stata empatia. È scoppiato l’amore ed è stato un amore a prima vista. Io sono arrivato il 31 gennaio del 2001 ed ho firmato alle 7 meno un quarto, a ridosso della chiusura del mercato. La trattativa venne portata avanti dal direttore Evangelisti. Ero al Modena primo in classifica, con il ginocchio che mi creava problemi. Mi chiamó Quartiglia. E mi voleva anche Giorgini, che nel mentre venne esonerato. Quartiglia è una persona straordinaria. Io all’epoca avevo 6-7 richieste. Quando sono stato a Giulianova da avversario avevo visto che l’ambiente ti trasmetteva qualcosa di particolare. Quell’anno feci 9 gol e ci salvammo direttamente senza playout. E all’inizio eravamo ultimi. Mi ricordo di essere stato a Giulianova da avversario e il Fadini era un fuoco. C’è stato subito amore con i tifosi”.

Le annate migliori sono state quelle con Francesco Giorgini. Che allenatore è stato per te?

“Con Giorgini c’era un rapporto diverso da quello tra allenatore e giocatore. Per me è stato come un padre. Persona dotata di una straordinaria semplicità. Se lo avessi incontrato prima probabilmente sarei arrivato più in alto. Mi ricordo l’anno che ci salvammo, con Cherubini colpito da aneurisma. Eravamo 6-7 grandi e lui era come un padre per noi. C’erano giocatori come Catalano, Palladini, Visi, Cherubini, Del Grosso. E riuscimmo a creare empatia con Giorgini e la piazza. Le ultime partite le abbiamo vissute con questa tragedia sfiorata. Evitammo di festeggiare il mio cinquantesimo gol. I due gol al Novara li ho rimossi”.

Tante stagioni in serie C per te in piazze diverse. Hai mai pensato di poter fare il salto di qualità e magari approdare in categorie superiori, visto anche il tuo rendimento?

“Fosse dipeso da me, sicuramente. In particolare quando abbiamo vinto il campionato a Savoia con Osvaldo Iaconi, quello è stato un anno irripetibile. Ancora oggi ci sentiamo. L’anno dopo mi aspettavo di far parte della rosa. Poi mi accorsi che la società voleva fare altre scelte. Feci solo 45 minuti in B in una sola partita con l’Empoli. Feci 6-7 tiri in porta. E quella partita testimoniò che potevo fare la serie B. Poi mi chiamó il presidente e accettai di andare a Viterbo da Gaucci. Quello è stato l’unico rimpianto che ho. Fosse dipeso da me avrei fatto la serie B anche con contratti più bassi. Ho fatto 7 anni di Torino. Sono arrivato a 14 anni ed ho avuto tre infortuni al crociato. Sono stato due anni e mezzo senza giocare”.

Anche nell’anno di Chieti ti sei tolto delle soddisfazioni. Tu e Fabio Quagliarella formavate una coppia d’attacco straordinaria…

“A Chieti la squadra fu costruita con tanti ragazzi nuovi. Abbiamo avuto difficoltà a costruire l’amalgama. Era una squadra forte. Se si fosse partiti dall’inizio con Pagliari sarebbe andata diversamente. Poi a gennaio fecero mercato e con Pagliari facemmo una grande rimonta. All’epoca andavano in cinque ai playoff. Fabio Quagliarella nel corso dei mesi cresceva. In allenamento faceva tunnel, pallonetti. Io gli dissi che se voleva diventare giocatore vero avrebbe dovuto tirare in porta. Io giocavo un po’ più dietro. Io suggerivo e lui faceva gol allucinanti. Ma c’erano anche Di Fabio, La Canna e Morfù. Era uno dei gruppi più belli che io ricordi. Uscivamo tutti insieme. E quell’anno nacque anche la mia prima figlia. Oltre a Quagliarella, nella mia carriera ho avuto la fortuna di giocare con Tiribocchi al Savoia e Vieri al Torino. Che poi hanno giocato in A. Vieri è del ‘73, ma giocava già con noi che eravamo del ‘71. E andava in prima squadra. Poi sarebbe diventato uno degli attaccanti più forti del mondo. Fabio Quagliarella aveva un talento e una velocità di esecuzione difficili da trovare. Ti accorgevi durante gli allenamenti. Migliorava giornalmente. E all’epoca era giovanissimo, aveva solo una ventina d’anni. Io invece quell’anno avevo problemi al ginocchio. A fine anno feci una pulizia. Poi sono riuscito a giocare fino a 38 anni. A Chieti ho avuto anche un grande direttore del calibro di Giuseppe Tambone. Che sento spesso e che tutt’ora meriterebbe di stare in una società per la sua competenza. Stessa cosa per il presidente Buccilli, di cui conservo un bel ricordo”.

Dopo quella stagione hai scelto di tornare a Giulianova. È stata una scelta di cuore?

“Sì, anche perché era nata la mia prima figlia. Mi ero fatto una pulizia al ginocchio. L’anno dell’infortunio non feci benissimo. Ci salvavammo a Sora. Poi l’anno dopo feci 15 gol. Il presidente Quartiglia voleva fare una squadra di tutti ragazzi. E mi disse vai via che ti vogliono. Così andai a Gallipoli. Feci 18 gol lì con Auteri. Poi mi prese il Perugia e a 37 anni firmai un biennale. Dai 30 in poi conta la gestione fisica. E poi devi avere la fortuna di incontrare allenatori che capiscono l’importanza di saltare un allenamento per arrivare al meglio per giocare la domenica. Quell’anno feci 5 gol da terza punta. Con Mazzeo, Ercolano, De Giorgio e Cutolo. Siamo usciti con l’Ancona ai playoff dopo aver vinto 3-1 in casa”.

Hai realizzato 163 gol in serie C. Record battuto di recente da Felice Evacuo. Quella della C è una realtà che hai imparato a conoscere molto bene. Quanto è cambiata questa categoria negli anni?

“È cambiata perché c’è l’obbligo di far giocare i giovani. Altrimenti non sarebbe più un calcio sostenibile. Si è perso quell’ardore di una volta, con i difensori che marcavano a uomo. Era più dura prima. Il livello è sceso anche se ci sono dei buoni giovani. Il campionato è in perdita. Non c’è più la sostenibilità, quindi è giusto far giocare i giovani. E questo fa perdere lo spettacolo”.

Di tutti i gol che hai messo a segno, qual è stato quello più importante per te?

“Sceglierne solo uno non sarebbe giusto per i posti in cui ho giocato. Ricordo il gol dell’1-0 su rigore allo stadio San Paolo di Napoli, nella semifinale playoff Savoia-Palermo. Poi ricordo bene il primo gol della rinascita del Modena. In un Modena-Spal, mi sono prima conquistato il rigore e poi l’ho realizzato. C’è anche una tripletta con il Giulianova. Ma il primo gol con il Giulianova non lo scorderò mai. È stato in una partita contro la Torres. A Giulianova sentivo sempre in maniera particolare i derby con il Teramo. E riuscii a fare gol al Teramo in una partita di campionato al volo di sinistro. Poi ci fu un mio gol bellissimo contro L’Aquila. Un tiro al volo che terminò sotto l’incrocio”.

Daniele Rossi

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