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Andrea Iaconi e la sua era a Pescara: “Tanti sacrifici economici, Scibilia era persona d’altri tempi. E Galeone è la storia del Pescara”

GIULIANOVA – Il belvedere di Giulianova ci rasserena lo sguardo, con il mare all’orizzonte. Mentre si addensano i ricordi di più di quarant’anni di calcio. Tra trattative frenetiche e affari dell’ultimo minuto. Partendo da quando per le trattative bastava una semplice stretta di mano. Andrea Iaconi sa bene di quanto il calcio sia cambiato, in tutti questi anni. La sua è una lunga carriera da direttore sportivo, iniziata da Giulianova. Da quella che è la sua città. Ma la sua tappa più importante è stata senza dubbio quella di Pescara. Ben quattordici anni in biancazzurro. Dal ‘93 al 2007. Nell’era Scibilia e oltre. Con Antonio Oliveri vicepresidente. Quando con tanti sacrifici economici è stato capace di costruire squadre sempre competitive. Facendo quadrare i bilanci. Tanti i grandi giocatori fatti transitare in riva all’Adriatico, tra cui Andrea Carnevale, Massimiliano Allegri, Federico Giampaolo, Gianluca Colonnello, Michele Gelsi, Ottavio Palladini. Facendo togliere tante soddisfazioni alla società e ai tifosi biancazzurri. Con la serie A sfiorata più volte. E la promozione in B del 2003, insieme al fratello Ivo in panchina. Quello dei fratelli Iaconi è stato poi un binomio che si è ripetuto a Brescia. Dove Andrea Iaconi è stato cinque anni. L’ultima esperienza a Teramo nella gestione Iachini, come direttore generale. Fu sempre lui a portare Maurizio Sarri a Pescara nel 2005, sotto la presidenza di Dante Paterna. All’epoca il tecnico era alla prima vera esperienza in una squadra di B. E Iaconi gli fece capire subito cosa voleva dire allenare il Pescara: “Nel ritiro precampionato lo vidi fumare durante gli allenamenti. Gli dissi di andare immediatamente in panchina e lasciare quelle sigarette. Lui ci rimase un po’ male”.

Lei è stato ben quattordici anni con il Pescara. Nell’era Scibilia con un budget ristretto ha dovuto fare i salti mortali per assecondare le aspettative di una piazza ambiziosa…

“Era una società in difficoltà. Stiamo parlando del ‘93. Diciamo che sono stati anni di sofferenza a livello economico, ma ho avuto la fortuna di avere una società seria e stabile che non mi ha fatto mancare mai niente. Nel giro di otto-nove anni siamo riusciti a sistemare le cose. Le priorità erano il bilancio e la crescita dei giovani. L’intuizione della società fu quella di acquistare la Renato Curi ed unimmo il settore giovanile. Così uscirono fuori ragazzi interessanti, che andarono nelle categorie superiori”.

Negli anni Novanta arrivarono a Pescara grandi giocatori come Carnevale, Allegri, Giampaolo, Colonnello, Gelsi, Palladini. A distanza di trent’anni, non si sarebbe potuto ottenere di più da un gruppo del genere?

“Non so. La priorità non era tecnica, era economica. Perché la situazione era pesante. Non so se si poteva fare meglio, ma grandi sofferenze non ne abbiamo avute. Facendo sempre buoni campionati, l’obiettivo era di far crescere i giovani e cederli”.

In più circostanze sfioraste la serie A. In particolare nel ‘99 con Gigi De Canio. Rimase un grande rimpianto…

“Noi abbiamo fatto di tutto. Siamo retrocessi, siamo stati ripescati e abbiamo sfiorato la serie A un paio di volte. Sotto l’aspetto dei campionati abbiamo fatto tutto nel bene e nel male. Nel ‘99 fu un campionato al di sopra delle aspettative. Noi non abbiamo mai costruito squadre per vincere. Avevamo un’ossatura affidabile con giovani da far girare intorno a loro per crescere. Insieme ad allenatori presi dalla serie C. Ogni anno era una lotteria. Spesso ci è andata bene. Qualche volta meno, ma abbiamo sempre raggiunto gli obiettivi.”

Ha riportato Giovanni Galeone a Pescara, dopo le due promozioni. Suggellando un amore infinito con la piazza di Pescara. Che rapporto ha avuto con lui?

“Splendido, ancora adesso. Ci sentiamo ogni giorno. Ultimamente non è stato bene e siamo andati a trovarlo. Siamo molto legati anche con Massimiliano Allegri e gli altri ragazzi. Questo da un punto di vista umano. Dal punto di vista tecnico, c’è poco da dire. La storia del Pescara è legata a lui. In tempi non sospetti ha fatto la storia. Ha vinto, ha insegnato calcio. Facendo crescere tanti giovani. Poi ha quel modo di vivere che è la fotografia di Pescara. È stata una simbiosi bella e importante, che durerà per sempre”.

Insieme a suo fratello Ivo nel 2003 arrivó la promozione in B. Che ricordo conserva di quell’annata?

“Innanzitutto mio fratello fu preso dalla società. Per me era difficile consigliare lui. Anche se aveva vinto campionati di C. Furono Scibilia e Oliveri a prenderlo. Non è semplice per due fratelli che lavorano nella stessa società. Però lui fece un lavoro eccezionale. E anche con Delio Rossi facemmo delle plusvalenze importanti”.

Poi il binomio con Ivo si ripropose negli anni di Brescia. E alla fine le è toccato anche doverlo esonerare…

“A Brescia hanno accolto la cosa senza contestazione. E ci hanno aiutato. Non abbiamo avuto problemi. Non avevamo una grande squadra e c’erano altri tipi di problemi. Sono cose che nella nostra carriera capitano. Ho la fortuna di avere un fratello che è un buon allenatore. E non ne abbiamo risentito sotto l’aspetto tecnico”.

Nel 2005 arrivò come allenatore un certo Maurizio Sarri. Come mai fece questa scelta?

“Feci questa scelta quando mio fratello allenava il Pisa e mi consiglió lui. Mi disse che la squadra che lo aveva impressionato maggiormente era la Sangiovannese allenata da Maurizio. Un giorno mi arriva una telefonata di Marco Bignone, che era stato il mio capitano a San Benedetto. Lui faceva il dirigente alla Sangiovannese. E ci incontrammo. Mi disse che con loro c’erano quattro-cinque persone che sarebbero arrivate a livelli alti, tra cui Sarri. Così prendemmo lui. E lo stesso Bignone entró nella società come mio collaboratore”.

Per far quadrare il bilancio, nel 2005 ci fu il sacrificio di Calaió ceduto al Napoli. Mossa che non piacque ai tifosi. Come andarono realmente le cose?

“Noi prendemmo Calaió dal Torino. E ricordo di averlo acquistato per 400 mila euro. A fine campionato arrivò l’offerta del Napoli. Una società che De Laurentiis aveva appena rilevato. E così lo abbiamo ceduto. Era una cifra che noi non potevamo rifiutare. È chiaro che la gente non la prese bene. Ma era un sacrificio doveroso. Per noi era troppo importante”.

Che presidente è stato il Commendatore Pietro Scibilia?

“Quella società per me era una famiglia. Mi hanno accolto dopo la mia esperienza alla Sambenedettese. E prima non conoscevo il Commendatore. Era una persona d’altri tempi. Con lui la stretta di mano valeva di più di un contratto. Ha sempre onorato tutti gli impegni. Ed era solo in società. I primi tempi sono stati duri, Pescara non è una piazza facile. Lui veniva dal ciclismo ed ha impiegato tempo a capire come fare nel nostro mondo. Ma la sua serietà e il suo modo di fare si rivelarono fondamentali per Pescara. Lui ha portato serietà. Senza poi parlare della parte economica, dove ha fatto sforzi sovrumani. La gente ci ha messo tempo a capire che persona era. Ma poi il tempo che passa ti porta a rimpiangere le persone come lui”.

Da Scibilia al Pescara di oggi. Tante contestazioni da parte della piazza. Ma lei dal di fuori, come giudica l’intera gestione Sebastiani?

“I primi tempi del presidente Sebastiani sono stati più che positivi. Lui inizialmente non veniva dal calcio. E poi è anche rimasto solo. Il Pescara con lui ha fatto un ciclo importante. È riuscito a vincere ed a fare plusvalenze. Ha fatto quello che una città come Pescara merita. Poi le cose non so per quale motivo sono cambiate. Oggi non è un momento facile per la società. Ma speriamo che le cose si mettano a posto. Perché Pescara merita di stare dove gli compete. Non sicuramente in serie C.”

Daniele Rossi

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